Il sentiero e il ragazzo del granturco (Gabriel Miró)

ilmolinoavento-325x500“Il sentiero e il ragazzo del granturco” di Gabriel Miró (da Il molino a vento e altre prose, Gabriel Miró – Benito Pérez Galdós – Vicente Blasco Ibáñez, traduzione di Riccardo Ferrazzi e Marino Magliani, Galaad Edizioni 2015)

Un ragazzino porta in spalla un sacco di fu-sti di granturco e pannocchie che già mostrano i grani.
Viene per un sentiero calcareo, riarso e sconnesso. Lo percorre approfittando dell’ombra dei giardini: va su e giù costeggiando muri felpati di funghi, licheni color bronzo o terra di siena, recinti di pietra viva, freschi muri di terra, spigoli di calce; e pendono i roseti, l’edera, le viti rampicanti; si affacciano i fichi, che spandono l’odore latteo del tronco e dei tralci; una palma contorta che si stiracchia; la cupola di un arancio; le arcate di un mirto monumentale; immobili cactus in grandi vasi; siepi di bosso merlate. Un cipresso dall’aria claustrale è come un indice posto in croce sulle labbra dei giardini perché tutto taccia, tranne l’acqua, le fronde, le api, gli uccelli, le ore suonate dai campanili che nuotano nell’azzurro, il canto dei galli, i passi dei viandanti, i voli delle colombe. Tutto tace, tranne il silenzio.
I giardini, oltre alle porte e ai cancelli principali, hanno una porticina intima e umile, con una scaletta a ponticello sul fosso a lato del sentiero. Di lì esce il proprietario, lì bussano e aspettano i mendicanti.
Anche il ragazzino del granturco si ferma. Una di queste porticine è aperta, ci sono bambini che giocano, ridono, fanno amicizia.
Questo sentiero è così bello che perfino i padroni dei giardini, ogni tanto, vengono qui, dietro i contrafforti di terra, per vederlo. Se lo guardano ben bene, approvano, sorridono delicatamente come se facessero o permettessero qualcosa di buono. Che delizia essere buoni! Fanno fatica a capire che gli altri non hanno un giardino come il loro, con un sentiero come questo, scorticato, ardente e scavato fra muri freschi e bastioni nitidi, abbaglianti.
I bambini del giardino hanno fatto entrare il ragazzino del granturco. Hanno fatto amicizia, le spalle del ragazzo odorano di fune di sparto, la sua camicia sa di sudore, di foraggio e di pannocchie con grani teneri e bianchi come denti di un bambino.
Lungo il sentiero si avvicina un viandante. Per un bel po’ si sentono i passi delle sue scarpe di corda; lo si ascolta fermarsi a guardare il sentiero, la distanza ancora da percorrere. Il sole, lo sfondo azzurro, e in mezzo una gloriosa nube bianca.
Tranquillità dei giardini a mezzogiorno. Voglia di chiedere al viandante se va molto lontano, e dopo averlo visto e ascoltato, dài che ce la fai, dài che arriverai!
I bambini tacciono e si guardano con diffidenza.
Un uomo scende rapidamente lungo il sentiero, si sente un crocchiare di documenti arrotolati. Torna in paese, e ha pensato: passo di qui e risparmio un po’ di strada. Quell’uomo indaffarato vede in quel tratto di strada, addormentato come l’acqua di un canale romantico, solo una scorciatoia; pare quasi che sia lui ad aprirla, con la sua fretta.
I bambini litigano, e non c’è più modo di rappacificarli.
Il ragazzino del granturco corre alla portici-na del giardino. Gli altri lo rincorrono fino a una vite che si arrampica sul muro e gli gridano: «Adesso noi giocheremo con un elefante che, se glielo dici, lui con la proboscide pren-de l’indiano e se lo mette in groppa…».
«E con un piroscafo che attraversa da solo tutta la vasca. Tutta la vasca!»
Il ragazzino del granturco si volta: «E io vado a casa mia a mangiare una pannocchia cotta al forno!».
Quelli del giardino si eccitano ancor di più, fanno salti, si chiudono le orecchie con i palmi delle mani e ridono e gridano: «Ma come! Noi non l’abbiamo sentito e tu sì!».
E scendono dal bastione, frignano, e chie-dono pannocchia arrostita, pannocchia arrostita…

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