Bravo, Antonì. Quante volte se lo è sentito dire? Bravo, prega Antonì, obbedisci Antonì. Glielo sussurra la madre mentre lo veste da femminella e gli dice che tanto agli abiti lunghi ci si dovrà abituare, visto che farà il prete e salverà a tutti l’anima; lo ribadisce in seminario quel serpente di Don Paolo, per allontanargli la voglia di svelare che lui è un perfiriuso, un perfido, che si approfitta dei ragazzini. Ma Antonio, che ha tredici anni e oscilla “come un cornetto scacciaguai”, tace e mette le parole al buio. Chi lo capisce dove sta il male e dove il bene? Mentre sullo sfondo scorre l’Italia dei preti operai e la Chiesa di Paolo VI che in un Natale all’ Italsider parla di rivoluzione e dice che lavorare è uguale a pregare, il cammino di Antonio si snoda tra foschi inciampi e castighi, letture sacre che tolgono la malinconia e incontri provvidenziali. Fino all’ultima, vera rinascita, quando tutto pare possibile. Anche che il leone si cibi di paglia, come dice Isaia, che il mondo in sogno si capovolga, in una profetica rivoluzione, e si possa infilare la mano nella buca di un aspide senza essere più morsi.
La Quercia e il Tiglio n.15
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