Perché Jacques Derrida, filosofo che ha lungamente lavorato alla decostruzione della soggettività, si è interessato al tema dell’autobiografia? E perché ha scritto diversi testi in uno stile autobiografico? Questo libro, che indaga da un lato il concetto di autobiografia in Derrida, dall’altro la morfologia del suo autobiografismo (proponendo anche nuove prospettive sul giovane Derrida), pone la questione di quale rapporto sussista tra l’autos dell’autobiografia e la decostruzione. L’autos (di Derrida) scrive la decostruzione ma, reversibilmente, l’autobiografismo di Derrida registra e verbalizza l’autos. La proposta teorica del libro è che la relazione disarmonica tra concetto e scrittura convochi un “terzo livello”, cioè la scrittura dell’autos: dispositivo di sconfinamento tra l’autoproduzione di una forma teorica e l’immotivazione di una scrittura esistenziale in prima persona. Ma il tema non riguarda solo la riflessione di Derrida. Noi non sappiamo che cos’è l’autos. L’autos è il luogo (e il tempo) impossibile del soggetto, punto cieco attorno al quale ruotano, da sempre, la psicoanalisi e la filosofia. Ma autos è anche un segno limite: segno – ossia qualcosa che sta per qualcos’altro – che significa se stesso (autos). Al contempo, autos rimanda all’automatismo, allo scatto involontario presimbolico nel vivente. Con l’automatismo si riporta al centro il corpo del filosofo e la sua doppia pulsione: quella a inseguire il concetto; quella a ritrarsi scrivendo. Nel suo senso più generale, il libro suggerisce dunque l’opportunità di un ripensamento dei rapporti tra analisi e automatismo, tra ambiguità del corpo e processo di formazione di un’identità teorica.
Matemi n.5
Rassegna stampa