Un esorbitante affresco sul muro di un palazzo parigino, in cui appare sorridente dentro quindici metri di abito blu mentre offre un flacone di profumo, è tutto quel che rimane di Sylvie Fabre, bruciata nell’incendio della sua abitazione. A questa immagine pubblicitaria, minacciata dal rinnovamento edilizio e offesa dal sottostante degrado urbano, tornano con assiduità il marito e il figlio per mantenere viva la memoria della defunta. Una scommessa ostinata, condotta contro l’inevitabile crescere del piano di occupazione del suolo che finirà per cancellare le preziose vestigia ma non l’acribia dei due fedeli superstiti, installati nel nuovo monolocale appena sotto gli occhi di Sylvie e decisi a raschiarne la dura materia pur di aprirsi un’ultima breccia verso la moglie e la madre perduta. Apologo esemplare sulla nostalgia alle prese con l’irrimediabile, L’occupazione del suolo, con la sua prosa dai toni lirici e quasi surreali, punteggiata di arditezze stilistiche, offre un memorabile assaggio delle qualità che ritroveremo nei successivi romanzi di Jean Echenoz. Fin dal suo primo apparire – nel 1988 per le storiche Éditions de Minuit – questo racconto è stato salutato come un insolito capolavoro capace di oscurare, con magistrale e sibillino fulgore, fiumi di letteratura contemporanea.
Traduzione di Francesca Ilardi
I Lilliput n.11
Rassegna stampa
Il Cittadino – 2 novembre 2017