Il trauma è la questione decisiva e paradossale della psicoanalisi. Questo lavoro di Alex Pagliardini lo afferma in modo radicale affrontando, sviluppando, a tratti risolvendo, la questione con Lacan. Lo “psicoanalista dell’Altro” è la chiave, spesso l’unica, per trattare non ingenuamente il trauma. La singolarità di Lacan, il suo linguaggio, la sua concezione del linguaggio sono gli strumenti per compiere questa operazione. Ecco perché il testo percorre tutto il suo insegnamento articolando le varie declinazioni della concezione lacaniana del linguaggio: il linguaggio come legame, il linguaggio come taglio-marchio, il linguaggio come lalingua diventano così i tre modi fondamentali per intendere e incontrare l’incidenza del linguaggio, il suo trauma. All’interno di questi tre modi si compie la sovversione a cui è dedicato l’intero lavoro: dal trauma del linguaggio come trauma dell’Altro, al trauma del linguaggio come trauma dell’Uno. Di conseguenza, da Lacan come psicoanalista dell’Altro a Lacan come psicoanalista dell’Uno. E ancora, dalla psicoanalisi coma pratica dell’Altro, alla psicoanalisi come pratica dell’Uno. L’Uno diventa il maître “capriccioso” ed “erratico” del modo in cui Alex Pagliardini legge Lacan. L’Uno diventa l’unico modo per rendere conto, in termini psicoanalitici, del trauma, del suo carattere fondativo, del suo statuto contingente, dello scandalo della sua ripetizione. Sullo sfondo dell’intero lavoro l’amore – come può esserci amore per un altro – la questione della fine analisi – fine analisi come fine dell’Altro – e una convinzione, tutta da interrogare: è solo frequentando la strada del trauma del linguaggio come trauma dell’Uno che si può rispondere ed essere fedeli a questa affermazione, unica, di Lacan: «Occorrerebbe che si avesse nell’analisi il sentimento di un rischio assoluto».
Matemi n.1